Conoscenza e diffusione del calabro-greco

Il greko, patrimonio linguistico della Calabria greca

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I ragazzi del "To Ddomàdi Grèko 2020
Sulla lavagna la scritta: “Non sapete cosa avete perso”

 

Il progetto 

Il 2021 vedrà 3 ricorrenze che riguardano le nostre comunità:

  1. la prima pubblicazione di un canto greco di Bova su una rivista scientifica (Karl Witte, 1821);
  2. il cinquantesimo dall’alluvione che provocò l’abbandono di alcuni paesi ellenofoni (1971), con conseguente disgregazione delle comunità e ulteriore abbandono dell’uso della lingua;
  3. il bicentenario della Ellinikì Epastànasi, i moti che portarono all’emancipazione del popolo greco dalla dominazione turca e alla nascita della Grecia moderna.

Per commemorare questi 3 eventi, i comuni e le associazioni dell’area ellenofona hanno proclamato il 2021 ANNO DEI GRECI DI CALABRIA.

L’adesione all’iniziativa viene effettuata attraverso una piattaforma on line, denominata Anno Greko, aperta a tutti coloro che hanno a cuore la nostra storia e la nostra identità e credono che, partendo da esse, sia possibile costruire un futuro migliore per questa terra.

Una sola clausola: chi aderisce, semplice cittadino, associazione o istituzione che sia, si impegna a realizzare almeno una iniziativa, a sua scelta e in qualunque luogo voglia, per la lingua e la cultura greca della Calabria, nel corso del 2021.

Responsabili Tito Squillaci, Cristina Battaglia e Donata Luiselli

 

Presentazione della problematica

Tito Squillaci, Associazione Ellenofona “Jalò tu Vua”

Formalmente i greci di Calabria costituiscono uno dei 12 gruppi linguistici riconosciuti dallo stato italiano come minoranza oggetto di tutela legislativa.

In pratica, però, per la Calabria essi rappresentano molto di più. La lingua greca, infatti, introdotta nella nostra regione nell’VIII secolo a.C., è stata parlata per tutta l’epoca della Magna Grecia (oltre mezzo millennio), ha continuato a essere parlata dopo la conquista romana e ha ripreso grande vigore nel corso dell’epoca bizantina (durata ancora mezzo millennio).

Nell’XI secolo, quando i normanni entrarono a Reggio, trovarono una popolazione compattamente greca di lingua, cultura e fede religiosa.

In seguito alla latinizzazione avviata dai normanni, aree sempre più vaste della regione hanno iniziato a parlare il dialetto romanzo, a scapito della lingua greca, il cui uso è rimasto confinato in aree sempre più ristrette, fino a giungere alla situazione attuale, che vede il greco usato dalla fascia dei più anziani a Gallicianò, Roghudi, Bova e la sua Marina.

Altri ellenofoni, per lo più originari di questi paesi, vivono a Reggio, a Condofuri e in altri paesi della costa jonica.

Da questa ricostruzione storica appare evidente, dunque, che i greci di Calabria non sono un’enclave di persone immigrate dalla Grecia in una determinata epoca, bensì sono una popolazione autoctona, sono calabresi che conservano ancora l’uso della lingua più antica della nostra terra, cioè il greco.

Essi, dunque, condividono tutto il loro patrimonio culturale con il resto della Calabria meridionale, differenziandosi soltanto per il fatto che hanno continuato a parlare la lingua, in origine comune, che le altre aree hanno lentamente abbandonato, secolo dopo secolo.

Per questo il prof. Domenico Minuto, riferendosi alla nostra regione, scrive: “I greci di Calabria sono minoranza linguistica, ma maggioranza culturale”.

Oggi, nella nostra terra, il greco è una lingua ad alto rischio di estinzione.

Per la sua salvezza, perché continui ad essere tramandato alle nuove generazioni come lingua viva, si battono da oltre 50 anni, numerose associazioni culturali.

Tra queste, l’associazione “Jalò tu Vua” si dedica in modo particolare alla trasmissione della lingua e grazie ad una summer school portata avanti da 6 anni (To ddomàdi greko), è riuscita a formare un gruppo di giovani che parlano fluentemente e usano il nostro greco quotidianamente.

È un’inversione di tendenza che apre uno spiraglio di speranza per il futuro del greko (scritto con k per differenziarlo dal greco di Grecia).

 

L’esperienza di Cristina Battaglia

La Calabria greca è una realtà vivace grazie all'impegno di tanti giovani che, pur non avendo radici nel territorio ellenofono, collaborano con i parlanti nativi e si adoperano concretamente per preservare la lingua.

L'esperienza più intensa e autentica che si possa fare è partecipare al "to ddomàdi greko", ovvero la settimana greka, quel ritaglio delle vacanze estive tanto atteso per potersi immergere nell'entusiasmo contagioso degli attivisti.

Se molti ne sono venuti a conoscenza tramite i nuovi e potenti mezzi di comunicazione, io invece ho accolto l'invito di "ela, ela mu condà", cantata da Francesca Prestia nel mio liceo di Praia a Mare, all'estremo opposto della Calabria, al seguito del professore e poeta Salvino Nucera.

L'emozione di sentire un canto tradizionale in una lingua sconosciuta si è legata immediatamente alla nostalgia dell'Aspromonte, dove affondano le mie radici, recise purtroppo dalla piaga dell'emigrazione e mai attecchite realmente in nessun luogo.

E io, quindi, non avrei potuto mai osservare il greko con la lente di una aspirante classicista, senza nascondere la trepidazione di chi è in cerca della propria identità.

Ricordo che una sera, di ritorno da una delle escursioni del to ddomadi, sul pulmino, nelle curve che discendono da Bova, con l'Etna e il tramonto sullo sfondo, mentre cantavamo la strofa "su donno tin glossa, su donno tin kardìa (ti dono la lingua, ti dono il cuore)", ho pensato che finalmente avrei potuto rispondere senza esitazione alla domanda a cui ogni calabrese è sottoposto sin dalla nascita: e tu a cu ‘pparteni?

 

Donata Luiselli, Università di Bologna

Un nuovo studio dell’Università di Bologna ha analizzato i marcatori genomici di un ampio campione di popolazioni della Sicilia e dell’Italia Meridionale, rivelando una fitta rete di scambi culturali a partire dalla prima colonizzazione del continente.

In particolare le popolazioni della Bovesìa (Fig. 1) analizzate in questo studio, hanno evidenziato una marcata differenziazione genetica rispetto al resto delle popolazioni del sud Italia. 

Al di là delle differenze linguistiche, il marcato isolamento geografico, la minore dimensione effettiva delle popolazioni e la conseguente alta consanguineità potrebbero aver favorito l'azione della deriva genetica casuale portando all’amplificazione e/o alla fissazione casuale (o perdita) di parti specifiche del background genetico originale.

La mbovesiaancanza nel pool genetico di tali popolazioni della componente genetica dei "Balcani meridionali" (rilevata invece nella Grecia continentale e in Albania), risulta coerente con il fatto che il loro arrivo in Calabria dovrebbe almeno essere antecedente a quei processi di differenziazione più recente (cioè tardo medievale) che caratterizzano la Grecia continentale e l’Albania.

Il segnale di un “continuum genetico mediterraneo” che si estende dalla Sicilia a Cipro, passando per Creta e fino alle isole dell’Egeo e dell’Anatolia nel quale si inserisce la variabilità genetica dei greci di Calabria, rappresenta il risultato di antichi legami, un’eredità mediterranea che risale probabilmente a epoche molto antiche, come risultato di una serie di migrazioni continue con picchi durante il Neolitico e l’Età del Bronzo, legate a una “sorgente” fra il Caucaso e l'Iran settentrionale.

L’avanzamento delle tecniche di sequenziamento genomico, insieme all’analisi di reperti antichi della stessa zona, potrebbe aiutare nel prossimo futuro a meglio identificarla sia geograficamente che temporalmente.

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Note: In figura i comuni della bovesia analizzati nello studio genetico